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TORNA A RIVISTE DI POESIA 70-90

Prato pagano

Direttrice: Gabriella Sica
Luogo: Roma
Anno primo: 1979/80
Mese primo: gennaio
Anno ultimo: 1987
Mese ultimo: febbraio-marzo
Periodicità: annuale; varia
Fascicoli: 9 (tre serie)

 

Si ringrazia Gabriella Sica per la preziosa donazione della rivista da lei fondata 

 

Scheda a cura di Nunziata Saccà
Indici e immagini a cura di Graziana Pagano

 
Nella vivace temperie culturale della fine degli anni Settanta nasce a Roma «Prato Pagano» da un progetto editoriale di Gabriella Sica in collaborazione con Paolo Prestigiacomo e Michelangelo Coviello. Della rivista, diretta da Sica e inizialmente pubblicata nell’ambito della collana Il Melograno, da lei ideata per l’occasione, escono in tutto nove numeri, in tre serie diverse. La prima serie comprende quattro numeri, pubblicati dal gennaio 1980 (ma in apertura di fascicolo la data è 1979) al gennaio 1982, con il sottotitolo di ‘Almanacco di prosa e poesia’, per le Edizioni A.BE.T.E. S.p.A., via Prenestina 685, Roma. La seconda serie comprende anch’essa quattro numeri, editi dalla primavera del 1985 all’inverno del 1987, con il sottotitolo mutato in ‘Giornale di nuova letteratura’. Muta anche l’indirizzo della casa editrice che, per la stampa del n. 2, si trasferisce in via Tiburtina 655, sempre a Roma, e poi a Città di Castello, dove vengono stampati tutti gli altri numeri, compreso il n. 1 di una “Nuova serie”, del dicembre 1987, con cui la rivista chiude definitivamente le sue pubblicazioni.

I numeri della prima serie hanno frequenza quasi annuale, quelli della seconda avrebbero dovuto essere quadrimestrali. In effetti, ne escono tre numeri nel 1985, mentre se ne pubblica uno solo doppio nel 1987. Infine, a dicembre del 1987 appare la “Nuova serie” che, come abbiamo detto, comprende un solo numero.

La copertina della prima serie è bianca e interamente realizzata da Giuliano Vittori. Ha al centro un disegno, in cornice quadrata, diverso per ogni numero, e un logo a forma di melagrana che si ripete nelle pagine interne. Nella seconda e terza serie, invece, la grafica è nuova e nasce dalla collaborazione tra autori e artisti (anche in duplice veste di scrittori/pittori, come nel caso di Beppe Salvia, Bizhan Bassiri, Beate von Essen, Giuseppe Salvatori) durante le riunioni redazionali che si tengono a Trastevere, in casa di Gabriella Sica. La copertina diventa color avorio, il riquadro che campeggia al centro è più grande e contiene il sommario, con i titoli dei contributi e i nomi degli autori che collaborano a ciascun numero. Il disegno, che ora rappresenta cavalieri stilizzati in battaglia, si sposta nella cornice, il cui colore muta ad ogni numero. Il logo non è più la melagrana, ma la sagoma di un cavaliere rinascimentale disegnata da Felice Levini, come numerosi altri disegni che appaiono nelle pagine interne insieme con opere grafiche di altri artisti. I formati sono due: uno più grande, di cm 29x21, e uno più piccolo, di cm 20x13, utilizzato soltanto per l’ultimo numero della prima serie.
 
A Michelangelo Coviello – secondo quanto afferma Sica in una testimonianza raccolta da Flavia Giacomozzi (Campo di Battaglia. Poeti a Roma negli anni Ottanta, Castelvecchi, 2005, p. 24) – si deve l’idea del nome da dare alla rivista che, come spiegato nella nota editoriale non firmata, ma attribuibile alla direttrice e posta in apertura del primo numero, deriva dal sostantivo latino pagus, villaggio, e dall’aggettivo paganus, che indica tutto ciò che appartiene al pagus. Dunque, il prato pagano è «il luogo che traccia i confini tra villaggi e coloro che vi abitano si ascoltano sospesi, fermi su quella frattura che prende forma e colore, proprio come una ferita, un taglio rosso» (cfr. «Prato pagano», 1/1979, p. 5). Il nome allude anche a una rivalutazione del tema classico della Natura.
 
Il primo numero della prima serie presenta una particolarità: è datato 1979 all’inizio (p. 4), e gennaio 1980 in terza di copertina. Questa duplice datazione è da attribuirsi ad un ripensamento di Sica, che aveva ritenuto quella seconda data, aggiunta all’ultimo momento, foriera «di un nuovo tempo» (cfr. Campo di battaglia, cit., p. 25). Il fascicolo contiene i contributi di autori che sin dall’inizio si segnalano come i principali animatori della rivista: Prestigiacomo e Coviello, Claudio Damiani e Gino Scartaghiande (animatori di un’altra pubblicazione romana allora nascente, «Braci», sospesa nel 1984), un giovanissimo Valerio Magrelli, Biancamaria Frabotta e naturalmente Sica, che chiude con un suo scritto ogni numero di questa serie. Sulla terza di copertina del secondo numero, pubblicato nell’ottobre 1980, si legge che la rivista «allarga lo spazio nuovo per le voci che oggi scrivono» e «ritrova l’ipotesi del laboratorio di scrittura» per «una letteratura degli anni Ottanta». Infatti, vi appaiono ben dieci autori (contro i sette canonici degli altri numeri), tre dei quali non scriveranno più per la rivista, ma soprattutto vi appaiono le Lettere musive di Beppe Salvia, primo contributo del poeta, che però aveva partecipato fin dall’inizio alle riunioni redazionali. Il terzo numero si apre con i 14 pezzi liberi di Gaia de Beaumont, unico testo donato dalla scrittrice romana, e contiene fra l’altro il Bestiario di Paolo Prestigiacomo. Il quarto numero si apre con Amore mondo di Vivian Lamarque e contiene testi di Damiani, Coviello, Salvia, Prestigiacomo, Magrelli e Sica. Con questo numero si chiude la prima fase della rivista.

Tra i redattori di questa prima serie, dunque, oltre a Gabriella Sica, Michelangelo Coviello e Paolo Prestigiacomo, spiccano alcuni poeti più assidui nella collaborazione, come Beppe Salvia, Claudio Damiani e Valerio Magrelli, insieme con altri già attivi negli anni Settanta, come Vivian Lamarque, Biancamaria Frabotta e Roberto Carifi. Appaiono invece una sola volta i nomi di Gino Scartaghiande, Giuliano Corti, Francesco Massoni, Giselda Pontesilli, Luigi Serafini, Gaia de Beaumont, Maurizio Brusa, Silvio Giussani e Stefano Moretti.

Fin dalla citata nota di apertura del primo numero, si esprime chiaramente la volontà di rifondare la poesia, di rinunciare ai padri più vicini nel tempo e di ritrovare una lingua veramente espressiva, superando l’eccesso di sperimentalismo degli anni Sessanta e Settanta, attraverso un ritorno alla tradizione, con un «cantar novo» in una lingua chiara, come è sempre la lingua dei classici, da Virgilio a Petrarca fino a Pascoli, lungo un percorso che mira a una poesia di cose concrete, che sabianamente definiremmo «onesta». Non a caso i temi prediletti appartengono prevalentemente alla vita quotidiana. Si avverte il bisogno di riconciliare la lingua con le cose, di restituire spazio lirico alla natura, di riscoprire il ritmo delle parole e di allontanarsi da un’idea elitaria di letteratura.
L’avvio della seconda serie di «Prato Pagano» è della primavera del 1985 e viene celebrato a giugno con una festa all’orto botanico di Trastevere, in un luogo cioè che rappresenta la forza della natura nel pagus ed è perciò particolarmente caro ai redattori, che in questa seconda serie sono molto più numerosi. La rivista, infatti, si riorganizza e si precisa la poetica già espressa nella prima serie, mentre si accentua la dimensione etica dell’espressione artistica. Viene anche costituita una vera redazione, di cui fanno parte, insieme con Sica e Damiani, autori nuovi per la rivista, come Arnaldo Colasanti, Giacomo F. Rech e Marco Lodoli; mentre Beppe Salvia, che partecipa attivamente alle riunioni redazionali per l’avvio della nuova serie, muore il 6 aprile 1985. Gli scrittori sono comunque in buona parte gli stessi che avevano già lavorato alla prima serie. Fin dal primo numero tornano, infatti, i nomi di Prestigiacomo, Damiani, Sica e Salvia, Coviello, Giselda Pontesilli, Valerio Magrelli e poi Pietro Tripodo e Gino Scartaghiande, insieme con altri autori provenienti dalla rivista «Braci» (che ha concluso le sue pubblicazioni nel marzo del 1984) come Colasanti e Lodoli, Giuseppe Salvatori, Giuliano Goroni, Paolo Del Colle, Edoardo Albinati, Marco Papa, Marco Mancini, Stefano Fanfoni. Appaiono anche altre voci, come quelle di Luca Archibugi, Roberto Varese, Silvia Bre, Francesco Pio Grazioli, Stefano Giovanardi, Massimiliano Mancini, Bizhan Bassiri, Carmela Cossa, Beate von Essen, Gaetano Carbone, Silvia Carovana, Luciano Allamprese. Voci nuove sono quelle di Patrizia Valduga, che pubblica La tentazione, e del diciottenne Paolo Febbraro, che pubblica La nuova stella, sua poesia d’esordio, entrambi sul n. 1. Mentre sul n. 2 appare la raccolta Le prime cose di Nadia Campana, che comprende nove brevi poesie postume (la poetessa è, infatti, morta a Milano nel 1985). Sul n. 3 Rocco Salvia, raffinato pittore fratello di Beppe, pubblica i due disegni di Chiaroscuro e nel n. 4-5 escono i Lavori d’autunno di Silvio Guarnieri, uno scrittore che appartiene a ben altra generazione e ha già scritto per «Solaria».

A partire dal primo numero vengono inserite alcune rubriche, che seguono i testi liberi, mentre dal secondo numero in poi tutti gli articoli pubblicati vengono organizzati in spazi tematici, non fissi: “Storie naturali”, “Cronaca”, “Belle lettere”, “Dizionario”, “Paesaggi e Stagioni”, “Uomini e Donne”, “Cuore”, “Studi”, “In italiano”, “Tombe”, “Commento”, “Per musica”, “Parabole”, “Favole e Bambini”, “Viaggi”, “Sogni”. “Storie naturali” valorizza un’antica vocazione della rivista, “Cuore” è dedicata a Beppe Salvia e al suo stile poetico, “In italiano” accoglie solo traduzioni, “Favole e Bambini” dedicano inediti spazi alla letteratura per ragazzi, Tombe rende foscolianamente omaggio ai sepolcri di letterati e di personaggi storici, “Viaggi e Paesaggi” aprono la narrazione a personaggi e a terre straniere, come Praga, il Brasile e l’Austria, in “Letture” si recensiscono testi letterari italiani e stranieri.

La redazione progetta anche una piccola collana di poesia, i Quaderni di Prato Pagano, da allegare alla rivista. Ne vengono pubblicati in tutto quattro. Il primo Quaderno è  allegato al n. 2, si tratta di Estate di Elisa Sansovino a cura di Beppe Salvia, in realtà una finzione letteraria di cui è autore Salvia stesso. È il suo primo libro di poesie che, sebbene pubblicato postumo, rimane l’unico interamente pensato dall’autore per essere editato. Al n. 3 viene allegato il secondo «Quaderno», dal titolo La famosa vita di Gabriella Sica, che comprende cinquanta brevi poesie dell’autrice, alcune già pubblicate su «Prato pagano», altre inedite. Al n. 1 della “Nuova serie” è allegato il terzo Quaderno, Fraturno di Claudio Damiani, corredato di due disegni di Beate von Essen. Il quarto e ultimo Quaderno, Firmamento di Giacomo F. Rech, uscirà nel 1988, quando la rivista ha già concluso le sue pubblicazioni periodiche.

In questa seconda serie s’intensifica la ricerca sul linguaggio, attingendo più ampiamente alle diverse espressioni artistiche, dalla musica alle arti grafiche al teatro (il n. 4/5 contiene, tra le altre cose, i testi di Sica, Magrelli, Damiani, Archibugi e Rech messi in scena all’Accademia di Francia a Roma, nell’ambito del Festival di Villa Medici, dal 27 luglio al 2 agosto 1986). Il legame con la tradizione e con i classici resta forte e viene adesso arricchito di nuova linfa tramite aperture alle letterature straniere, dalla poesia cinese del periodo Sung ai tanka giapponesi, da Garcilaso de la Vega a Josef Görres a Constantino Kavafis. Ciò spiega anche il rilievo assunto da raffinati poeti-traduttori, uno tra tutti Pietro Tripodo.
 
A parte l’inserimento di una nuova rubrica intitolata “Preghiere”, la struttura del n. 1 della “Nuova serie” rimane fondamentalmente la stessa della serie precedente. Vi appaiono Ironia tragica di Sauro Albisani, poeta fiorentino allievo di Carlo Betocchi, e uno dei primi testi di Antonella Anedda, Oltre l’acqua, di notte. Vengono pubblicati anche contributi inediti postumi come le brevi liriche tratte dal Quaderno di Positano di Arturo Onofri e le dieci poesie che compongono L’anema più sita di Biagio Marin, scomparso nel 1985. Anche Valentino Zeichen, interprete di una generazione poetica diversa, vi pubblica tre poesie, nella rubrica “Uomini”.

Nella rubrica “Belle lettere”, a p. 21, viene inserita una lettera aperta firmata da Antonio Lapetto, sedicente insegnante torinese, amante della letteratura contemporanea. In realtà la lettera è il travestimento di un testo redazionale. Vi si espongono alcuni caratteri peculiari della rivista, già presenti, peraltro, nelle due serie precedenti, come l’astensione «dal teorizzare» e la centralità conferita alla ricerca linguistica, alla creazione di una lingua «neomanierista» non «assunta ironicamente, cioè in senso anacronistico […] ma come fondante un nuovo presente, e capace di fondare allora nuovi significati». L’autore della lettera chiede chiarimenti e la redazione, in un breve cappello introduttivo, promette di darne nel «prossimo numero». Ma la promessa non sarà mantenuta e, come sappiamo, questo sarà l’ultimo numero di «Prato pagano».

 

 

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